FOBIE: un caso clinico.
Con il termine fobia si intende un timore irrazionale e invincibile per oggetti o situazioni specifiche che, a differenza della paura non scompare di fronte a una verifica di realtà (cioè anche provando la non pericolosità della situazione o dello stimolo fobico). La fobia si differenzia anche dal delirio perché il fobico, a differenza della persona delirante, è perfettamente consapevole dell’irrazionalità dei suoi timori che, tuttavia, non riesce a risolvere. Alcuni esempi di fobie non specifiche sono: agorafobia (paura degli spazi aperti), claustrofobia (paura degli spazi chiusi), eritrofobia (paura di arrossire), rupofobia (paura per lo sporco), ipocondria (paura delle malattie) ecc.
Oltre alla paura irragionevole e persistente, la fobia include l’evitamento delle circostanze percepite come minacciose, per cui la persona tende ad allontanarsi dalle situazioni fobiche con un conseguente aumento della paura stessa. Per questo motivo, le fobie possono interferire significativamente con il funzionamento del soggetto nella vita di tutti i giorni (pensate, per esempio, alla fobia dei mezzi pubblici di trasporto o di guidare la propria auto). Le fobie possono manifestarsi in presenza di altri quadri sintomatologici tra cui Disturbo d’Ansia generalizzato e il Disturbo da Panico.
L’intento di questo articolo vuole essere quello di presentare un caso clinico, ispirato alla storia di una mia paziente, per fare luce su come spesso i sintomi fobici rivelano una condizione di dipendenza infantile e quindi di non raggiunta autonomia, che può manifestarsi nella paura di agire e, quindi, nell’immobilismo.
Anna, nome di fantasia, mi contatta per un primo colloquio. In seduta, mi racconta di sentirsi in gabbia e bloccata. Negli ultimi mesi i suoi sintomi sono peggiorati: ha la sensazione di non poter scegliere cosa fare e per questo trova difficile prendere anche le più piccole decisioni quotidiane, si sente inadeguata e avverte come un peso al petto persistente che la schiaccia e non le consente di respirare bene. Rispetto ai sintomi fobici, Anna non guida l’auto, pur avendo la patente, perché ha una terribile paura di perdersi e di non riuscire a trovare la strada di casa. Ha una fobia per i mezzi pubblici di trasporto che talvolta deve prendere per recarsi al lavoro, quando non le è possibile andare in bicicletta. Per questo motivo, ogni mattina, entra in uno stato acuto di panico con forte sudorazione, palpitazioni e iperventilazione al solo pensiero di dover fare il tragitto casa-lavoro in autobus. In aggiunta, Anna presenta i sintomi di Agorafobia la cui caratteristica essenziale è la paura di essere soli o di trovarsi in luoghi o situazioni nei quali la fuga può essere difficile o l’aiuto non disponibile. Anna ha terribilmente paura di dormire da sola, di viaggiare da sola e di recarsi in posti in cui potrebbe sentirsi male e non essere soccorsa. A causa di questa paura la sua autonomia è estremamente ridotta nelle normali attività quotidiane necessitando dell’aiuto di figure di sostegno (fidanzato o genitori con cui crea spesso un ponte, anche solo telefonicamente). Nel corso degli incontri successivi mi racconta della sua famiglia d’origine descrivendo i suoi genitori come persone molto iperprotettive. Si è spesso sentita trattare come una bambina piccola: non le era lasciata molta autonomia, il più delle volte erano i genitori a scegliere per lei o, in altre occasione, non le lasciavano la libertà di fare delle cose per paura che le accadesse qualcosa di brutto.
Col tempo, comprendo sempre di più che le fobie di Anna hanno a che fare con un blocco evolutivo nel ciclo di vita rispetto ai bisogni di separazione e individuazione. Le fasi di esplorazione (verso il VI° mese di età), quella di separazione (verso il 18° mese di età) e quella di individuazione (circa a tre anni) avevano subito un arresto ed Anna non era in grado di camminare da sola nel mondo, necessitando costantemente di supporto e di conferme. Questo significa che per riappropriarsi della capacità di viaggiare, di guidare e di prendere i mezzi di trasporto, Anna doveva prima riappropriarsi della propria autonomia, della capacità di prendere decisioni da sola e di affermare la propria volontà. Decido così di non lavorare direttamente sui sintomi fobici, concentrandomi sul ripristino del senso del Sé e sul rafforzamento dei confini interpersonali. Attraverso l’aiuto della terapia Anna comincia a riconoscere i tratti di dipendenza che caratterizzano i suoi rapporti con il fidanzato e con i genitori. Inizia a provare fastidio quando si accorge di essere trattata come una bambina quando torna nella sua città natale ed è irritata perché si sente limitata nell’esprimere la sua volontà. A mano a mano che Anna diventa consapevole dei suoi bisogni e di cosa le manchi per essere autonoma, trova il coraggio di prendere la macchina da sola guidando per diversi tragitti (compresa l’autostrada, con suo gran stupore!). Affronta anche un viaggio in treno e mette in atto altri nuovi comportamenti che indicano una trasformazione interiore.
Alla fine della terapia, un percorso lungo, tortuoso, fatto di alti e di bassi, Anna mi condivide queste riflessioni:
“Prima mi sentivo sempre in colpa ad allontanarmi dai miei genitori, ingrata per non fare abbastanza nei loro confronti, per paura che loro soffrissero in mia assenza non ero libera di vivere a pieno la mia vita. Mi sentivo incapace di fare le cose da sola, avevo sempre bisogno che ci fossero loro o il mio fidanzato. Avevo il terrore di dormire da sola. Adesso so che posso cavarmela senza il loro aiuto. Mi sento libera di comunicare le mie scelte e di esprimere i miei pensieri. A volte vengo ancora trattata come una bambina indifesa, ma oggi ho trovato dei modi per proteggermi. Quando mia mamma mi chiama preoccupata dandomi mille raccomandazioni, come se avessi 10 anni, le dico che sono una donna e so badare a me stessa. Non ho più paura di guidare l’auto, né di spostarmi con i mezzi di trasporto. Un giorno mi è capitato di salire sul treno sbagliato e, senza panico, ho gestito la situazione senza spiacevoli conseguenze. Quando il mio ragazzo non c’è dormo tranquillamente da sola senza bisogno di rimanere al telefono per ore con mia madre come facevo prima. Ora, il passo successivo, è quello di fare un’esperienza all’estero. Mi sento pronta per esplorare il mondo e, anche se a volte il pensiero mi spaventa, oggi sono consapevole delle mie risorse e del fatto che ce la posso fare”.
Questo breve caso, e le tante altre storie di pazienti che ho ascoltato, supportano l’ipotesi per cui il comportamento iperprotettivo, assente e/o rifiutante delle figure di accudimento può ridurre la spinta esplorativa del bambino, limitandone l’autonomia. L’effetto di tale limitazione può manifestarsi nello sviluppo di condizioni fobiche o ansiose, così come nella paura del contatto e dell’intimità.
In conclusione, la sindrome agorafobica, così come altre fobie, possono svilupparsi come conseguenza dell’iperprotezione dei genitori o a seguito di un’educazione intrusiva/controllante. L’intervento terapeutico a lungo termine può aiutare la persona a ridurre i sintomi psicologici come è successo ad Anna la quale prima del trattamento non usciva da sola e non guidava, mentre adesso lo fa: dorme da sola, viaggia da sola, ha appreso ad essere assertiva lì dove prima vigeva l’iperadattamento e gestisce positivamente l’affacciarsi di una crisi di panico, tenendo sotto controllo i propri sintomi.
Se stai attraversando un momento difficile e presenti sintomi di una condizione di tipo fobico puoi consultare il mio sito per saperne di più sul mio approccio e su come posso aiutarti, visitando questo link.
Dott.ssa Elisa Zobbi Psicologa-Psicoterapeuta, Psicologi a Reggio Emilia.